Mentre Mumtaz Mahal era ancora in vita, aveva chiesto all’imperatore di farle quattro promesse nel caso in cui fosse morta prima di lui. Per prima promessa gli chiese di costruire il Taj; la seconda era che si sarebbe dovuto sposare di nuovo per dare una nuova mamma ai loro figli; la terza promessa era che sarebbe sempre stato buono e comprensivo con i loro figli; e la quarta, che avrebbe sempre visitato la sua tomba nell’anniversario della sua morte. Sei mesi dopo la morte della regina, avvenuta a Burhanpur nel 1631, il suo corpo venne portato ad Agra e fu collocato temporaneamente in una cripta vicino alla località destinata per l’edificazione della tomba definitiva, che venne completata in 22 anni e che negli intenti di Shah Jahan doveva essere il più singolare monumento mai costruito per una donna ( e lo è ancora !!! ). Molti dubbi e poca certezza sul progettista del Taj Mahal, ma la leggenda vuole che a realizzarlo sia stato l’architetto Ustad ‘Isa. Nella stessa leggenda si narra che, al completamento dei lavori, Shah Jahan abbia fatto tagliare le mani ai capomastri, accecare i calligrafi e decapitare l’architetto, perché nessuno di loro potesse più creare un secondo edificio simile. Ugualmente prive di fondamento sono le congetture secondo cui il monumento, in perfetto stile indo-persiano, sarebbe stato disegnato da un europeo. Aldilà delle analisi stilistiche e dell’infondatezza delle fonti su cui queste ipotesi si appoggiano, è inammissibile l’idea che un architetto cristiano possa aver ricevuto l’incarico di costruire un edificio il cui ingresso (fino all’occupazione inglese) era proibito ai non musulmani, i quali, se disobbedivano al divieto, come profanatori, venivano condannati a morte. Secondo l’ipotesi di altri studiosi l’ideatore più probabile fu il persiano Ustad Ahmad Lahori che, in precedenza, aveva già ricevuto da Shah Jahan l’incarico di disegnare alcune delle sue opere più grandiose. In realtà, molto prima dell’ascesa al potere di Shah Jahan, gli scalpellini indiani erano famosi in tutto l’Oriente per la loro non comune capacità nel lavorare la pietra. Malgrado la dimostrata capacità delle maestranze locali, l’imperatore fece arrivare ad Agra artigiani provenienti da tutta l’Asia: dalla Turchia, Ismail Afandi, che creò la gigantesca cupola del mausoleo; da Lahore (nel Pakistan), un esperto gioielliere che ebbe l’incarico di modellare in oro la cuspide della cupola; da Delhi, validissimi mosaicisti; ma gli artisti venuti dalla Persia, e in particolare da Bagdad e da Shiraz, furono determinanti nel dare al Taj Mahal il suo singolare stile misto, indiano e persiano. In particolare, da Shiraz, fu chiamato Amamat Khan, famoso maestro di calligrafia, che decorò la facciata e la cripta del mausoleo con iscrizioni in caratteri arabi. Le iscrizioni che ricoprono le nicchie, gli archi, le cupole, i portali e i minareti, riproducono, da più di un millennio, un motivo tipico dell’arte musulmana, che impiega i segni eleganti della scrittura per definire lo spazio architettonico e, soprattutto, per offrire agli occhi dei fedeli alcuni brani dei testi sacri islamici. I lavori, iniziati nel 1631, continuarono senza interruzione per diciassette anni e richiesero il lavoro di oltre 20.000 operai e più di 1.000 elefanti. Per ospitarli tutti nacque, davanti al cantiere, una piccola città che prese il nome di Mumtazabad, in onore della regina scomparsa. Questa città si sviluppò con una prosperità tale da diventare più importante della stessa Agra. Con l’inizio della realizzazione della tomba, a Mumtazabad cominciarono ad arrivare numerose file di carri che trasportavano i diversi materiali da costruzione, come il tufo rosso e il marmo bianco; pietre rare quali la giada e il cristallo; ma anche il turchese, i lapislazzuli e il crisolito; nonché le conchiglie, il corallo e la madreperla. Il Taj Mahal sorge all’interno di un grande giardino a pianta quadrata forma preferita dall’architettura islamica e simbolo della perfezione divina. Attraverso la porta si entra nel caravanserraglio, collegato al mausoleo, e si giunge al portale del giardino, un’enorme costruzione in arenaria rossa valorizzata da arabeschi e iscrizioni coraniche sapientemente realizzate con lettere di marmo bianco, con torri ottagonali e undici chattri come fastigi. I quattro viali, straordinariamente larghi, tagliati dai canali, si incontrano al centro del giardino in una vasca di loto: i due orizzontali si connettono, nella cinta muraria, ad altrettanti padiglioni d’acqua, mentre i due verticali, ornati da una serie di fontane, ingrandiscono l’asse di contatto al monumento anticipato nel riflesso dei canali. Il giardino geometrico, che circonda il mausoleo, è dominato dalla grande fontana centrale nelle cui acque si riflette la cupola del mausoleo. Il parco fu chiaramente progettato sul modello del giardino persiano, che prevedeva l’inserimento degli elementi naturali in una struttura artificiale creata dall’uomo. Due moschee in arenaria rossa e cupole di marmo bianco, fiancheggiano il Taj Mahal. La struttura occidentale, con tre cupole e i pennacchi incorniciati da arabeschi di pietra dura, ha il soffitto interno coperto da affreschi, mentre quella orientale, perfettamente simmetrica all’altra, non fu mai usata per il culto e aveva probabilmente solo una funzione estetica. Sul retro di queste moschee, una terrazza con un edificio secondario si affaccia sul fiume Yamuna. Sull’alta piattaforma, rivestita tutta di marmo bianco, con la parte frontale di 94 metri, si erge un cubo di 57 metri di lato con gli angoli tagliati, che gli danno la sagoma di un ottagono. Il mausoleo vero e proprio è la grande struttura centrale. Sormontato da una cupola di 26 metri di altezza e 18 metri di diametro poggia su un alto tamburo rettangolare di arenaria rossa alto 7 metri e delimitato, ai quattro angoli, da altrettanti chattri di 42 metri d’altezza, creati per dare slancio verticale all’insieme, e concluso da un fiore rovesciato che regge un pinnacolo dorato a doppio vaso, motivo ripreso anche sulle chattri. I minareti, collocati agli angoli della piattaforma, delimitano lo splendido mausoleo. Il cenotafio della moglie dell'imperatore è esattamente al centro della struttura. Sulle quattro facciate principali, di 33 metri di altezza, si aprono gli imponenti ingressi con catini absidali amuqarnas. La struttura del mausoleo, realizzata in mattoni, è interamente rivestita da lastre di marmo bianco in cui raffinatissimi sono gli ornamenti: nicchie, stalattiti, pannelli con tralci di fiori in rilievo, scritte coraniche in marmo nero, motivi a onda policromi, arabeschi e intrecci floreali ottenuti con finissimi intarsi di pietre dure e preziose, quali topazi, zaffiri, corniole, diaspri, crisoliti ed eliotropi.
«Hanno messo fiori di pietra nel marmo che per i loro colori, se non per il loro profumo, sorpassano i fiori veri » scriveva Abu Talib Kalim.
“Quando la tomba venne terminata l’imperatore adagiò sul feretro della moglie i diamanti più preziosi del suo tesoro e fece stendere sul sarcofago un mantello di perle. Il sepolcro fu poi circondato da una balaustra d’oro e i pavimenti dell’intera stanza furono ricoperti da pregiatissimi tappeti di fattura persiana e moghul. Centinaia di candelabri d’argento e altrettante lampade d’oro furono appesi alle pareti e la porta d’ingresso fu arricchita di un cancello d’argento massiccio”.
Di tutti questi tesori, depredati durante le razzie che accompagnarono la fine dell’era moghul, rimane molto poco. Oggi, nell’enorme vano ottagonale della camera funeraria, collegata da corridoi a raggiera ai quattro ingressi e alle quattro camere d’angolo, troneggiano il sarcofago di Mumtaz e quello di suo marito, Shah Jahan, qui posto alla sua morte, avvenuta nel 1666. Entrambe le tombe sono vuote, dal momento che i corpi dei sovrani sembra siano stati trasferiti nella cripta sotterranea, o addirittura si suppone che siano stati nascosti nelle fondamenta e a tale scopo furono realizzate diciassette stanze sotterranee, inaccessibili. Le tombe di superficie sono oggi circondate da transenne ottagonali di marmo scolpite in una delicatissima filigrana, che riproducono quelle in oro fatte fondere da Aurangzeb (figlio terzogenito dei defunti, sovrano dell’Impero Moghul dal 1658 al 1707). I mosaici di pietre preziose che ricoprono i due sepolcri sono considerati tra i più belli del mondo e la vivacità dei loro colori contrasta con la sobrietà dei disegni calligrafici delle pareti superiori. L’attenzione alle proporzioni e alla prospettiva, l’uso del prezioso marmo, iridescente a seconda della luce, la curva armoniosa del bulbo della cupola, contribuiscono a smaterializzare la massa architettonica, creando la suggestione che il mausoleo emerga dallo sfondo del cielo e quasi galleggi sul tappeto verde del giardino... una visione da sogno.
La sua posizione vicino al fiume fa sì che un magico gioco di colori che cambiano durante le ore del giorno e a seconda delle stagioni, diano al Taj Mahal riflessi di colori che lo rendono unico ma sempre diverso. Come un gioiello, il Taj scintilla al chiaro di luna quando le pietre semi-preziose incastonate nel marmo bianco sul mausoleo principale afferrano il bagliore dei raggi della luna. Il Taj è rosato al mattino, bianco latteo alla sera e d’oro quando la luna splende. Sembra quasi che questi cambi di colore rispecchino la mutevolezza dell’umore femminile, o almeno così si dice in India.
Per descriverlo sarebbe sufficiente dire che il Taj Mahal vive, in quanto monumento dedicato all’amore eterno.
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