C’è una principessa russa a Torino.
“Vive” in città da molto tempo, così tanto che quando è arrivata non
c’era ancora neppure lo spillone della Mole Antonelliana a svettare sui
tetti delle case .
Era un’altra Torino quella di Barbara Tatichef,
moglie di Aleksanr Beloselkij, ambasciatore della zarina Caterina di
Russia nel Regno di Sardegna. Era la Torino di fine Settecento, capitale
di una piccola e ambiziosa monarchia, ancora lontana dall’avere
velleità unificatrici.
Barbara, che alcuni studiosi descrivono
bellissima, nacque a Mosca nel 1764 da una potente famiglia dello stato
zarista. A Torino si stabilì nel 1792 in compagnia del marito,
diplomatico alla corte dei Savoia, e dei suoi tre figli. Probabilmente
abitò in un bel palazzo di quella che allora si chiamava via delle
Ambasciate, cioè l'attuale via Bogino.
Giocando con la fantasia
potremmo immaginarla a passeggio nelle strade della sua nuova città,
quella Torino che sforzandosi di assumere l’aspetto di una vera
capitale, aveva attinto alla maestria di Juvarra per mostrare all’Europa
i suoi nuovi edifici d’avanguardia nel panorama architettonico.
Nulla può quindi impedirci di pensare alla bella principessa russa sulle
rive del Po, ad ammirare la basilica di Superga che dall’alto della
collina torinese già dominava la città. E perché no, continuando in
questo immaginario collage di immagini, vederla transitare in carrozza
in piazza Castello, accanto alla piccola folla di signore con
l’ombrellino bianco ritratte in alcune incisioni di quell’epoca.
Sono piccole suggestioni che rischiano però di allontanarci un tantino
dalla realtà. Si sa per certo infatti che Barbara Tatichef giunse in
Piemonte già in precarie condizioni di salute a causa di un aborto, e
che per le complicanze sopraggiunte morì all’età di ventotto anni, alla
fine del mese di marzo di quello stesso fatale 1792.
Fu forse per il
dispiacere di non aver potuto godere nemmeno di qualche istante di
gioia in quella sua nuova residenza, o forse per semplice sfizio che,
secondo una credenza popolare, la principessa decise di non andarsene
più e di rimanere a “vivere” a Torino anche da morta. Anche da spettro,
perché alla fin fine, non è nella sua veste terrena che i torinesi
impararono a conoscerla, quanto sotto forma di inquieto fantasma
notturno, a zonzo per la città.
Inconsolabile per averla perduta per
sempre fu invece suo marito Aleksandr Beloselkij, che commissionò allo
scultore Vincenzo Spinazzi una statua funeraria degna di lei, con sopra
incisa una commovente epigrafe: “Oh, sentimento! Sentimento! Dolce vita
dell’anima. Quale cuore non hai mai colpito? Qual è lo sfortunato
mortale cui non hai mai offerto il dolce piacere di versar lacrime, e
qual è l’anima crudele che, dinnanzi a questo monumento così semplice e
pietoso, non si raccolga con malinconia e non condoni generosamente i
difetti allo sposo che l’ha innalzato?”.
Il “monumento semplice e
pietoso” venne realizzato a Firenze e già a prima vista risultò essere
tanto bello quanto inquietante: una figura di donna ricoperta
completamente da un velo che lascia soltanto intravedere i lineamenti
del viso e del corpo, rendendola evanescente e facendole assumere
un’aria sinistra.
Collocata nell’ormai scomparso cimitero di San
Lazzaro (situato pressappoco nel luogo in cui oggi sorge il grattacielo
della Toro Assicurazioni) e ribattezzata dai torinesi la “Velata”, la
statua della principessa russa fu subito oggetto di dicerie di stampo
paranormale. Alcuni dissero di aver udito dei lamenti provenire
dall’interno delle mura del camposanto, altri riferirono addirittura di
aver incontrato il fantasma di Barbara nelle strade attorno al Lungo Po.
Una volta chiuso San Lazzaro le spoglie e la statua della nobildonna
vennero portate nel piccolo cimitero di San Pietro in Vincoli, presso il
fiume Dora. Un luogo strategico per ospitare dei morti visto che a
poche centinaia di metri la mano del boia stringeva giornalmente il
cappio attorno al collo di malfattori e disgraziati. Alla spettrale
Barbara Tatichef i nuovi compagni di tomba non dovettero andare troppo a
genio. I torinesi continuarono infatti a vederla a spasso per via
Cottolengo, mentre irretiva con la sua trapassata bellezza gli ignari
passanti notturni che, per chissà quale oscuro motivo, venivano
puntualmente condotti al cospetto della sua lapide.”
Passarono gli
anni e grazie alla presenza della “Velata” il cimitero di San Pietro in
Vincoli divenne una tappa clandestina obbligata per spiritisti e medium
di ogni sorta. In questi frequentatissimi pellegrinaggi notturni non
mancarono i soliti ignoti, così accadde che l’accorata epigrafe voluta
da Aleksandr Beloselkij scomparve misteriosamente. Anche le ossa della
povera Barbara scomparvero, o meglio, si persero dopo che anche San
Pietro in Vincoli venne chiuso per sempre. Rimase invece la statua della
“Velata”, prima restaurata e poi esposta alla Galleria di Arte Moderna
di Torino. E forse rimase in città anche il fantasma della principessa.
Una leggenda che i torinesi conoscono da sempre e che il resto degli
italiani ha scoperto grazie a “La donna velata”, film mistery girato a
Torino e trasmesso dalla Rai lo scorso anno.
Sembra che durante le
riprese si siano verificati alcuni strani contrattempi: luci
costantemente fulminate, macchinari spesso fuori uso… Qualcuno ha subito
pensato ai dispetti di una certa Barbara, principessa russa,
evanescente figura di donna, raminga lungo le sponde della Dora nelle
nebbiose notti torinesi.
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