giovedì 10 settembre 2015

244. Una tragedia di casa nostra

Reneuzzi è un paese abbandonato nell’appennino piemontese, in provincia di Alessandria. Situato ad oltre mille metri sul livello del mare, Reneuzzi è probabilmente uno dei paesi più isolati dell’intera penisola: non è collegato ad altri paesi tramite strade carrabili e l’unico modo per accedervi è un sentiero che da Vegni, situato ad un’ora di auto da Novi Ligure, porta al paese di Reneuzzi dopo due ore di cammino. Senza acqua corrente né elettricità, è inutile dire che il paese non è più abitato: dal 1961 qui non vi è più anima viva. Ora, questa storia è comune ad altri borghi montani e non ci sarebbe altro da analizzare se non il malinconico e inevitabile abbandono della montagna. Ma qui c’è qualcosa di diverso. Il paese non muore da solo, agonizzando lentamente tra partenze e vecchiaie. No, questa volta si porta con sé due vite e una storia d’amore e follia.
Chi giunge a Reneuzzi viene presto incuriosito dal piccolissimo cimitero della frazione. In un recinto di cinque metri per tre, si trovano una dozzina di tombe ormai illeggibili, la cui datazione va dall’inizio del XX secolo al 1954. Poi, vi è una tomba meglio conservata di altre. Ha una bizzarra forma a casetta e appare sproporzionata rispetto alle dimensioni del cimitero. In basso c’è una lapide con una scritta:

"Bellomo Davide, 12-5-1930  22-9-1961, papà e mamma dolenti".

E’ l’ultimo abitante, morto a 31 anni.
Siamo nel 1961, l’Italia corre verso il boom economico, le città brulicano di vita e nuovi quartieri spuntano ovunque, là dove prima c’era la campagna. Per un’Italia che cresce, un’altra arranca. La montagna si spopola e invecchia: gli anziani e i pochissimi giovani rimasti salutano ogni giorno qualcuno che se ne va, le porte si chiudono e nella maggior parte dei casi non verranno mai riaperte. Sono anni spietati per i paesi isolati, le curve demografiche precipitano. Reneuzzi paga una situazione anche peggiore di altri centri. Niente acqua, niente elettricità, niente terra e pochi pascoli. Mentre Milano esplode di luce, duecento chilometri più a sud c’è ancora chi vive senza lampadina e rubinetto. Estremi di un paese in fase di modernizzazione incompleta. A Reneuzzi se ne sono andati quasi tutti già nel primo dopoguerra. In quell’estate del 1961, nel paese non è rimasto che Davide Bellomo. Davide è fidanzato con Maria Franco (detta Mariuccia), ventenne di Ferrazza, paesino non lontano da Reneuzzi e in uguali condizioni di isolamento e conseguente spopolamento (oggi è anch’esso disabitato da molti anni). E’ una storia tormentata: i due sono cugini e la famiglia di lei, una delle ultime rimaste a Ferrazza, non vede di buon occhio la coppia. Un giorno di settembre, Maria comunica a Davide che se ne andrà con la famiglia in un paese del genovese, in cerca di lavoro e di una vita migliore. Davide non ci sta. Ha visto partire tutti gli amici di infanzia, morire gli anziani. E' rimasto solo, senza sapere dove andare. Non conosce il mondo al di fuori della sua montagna.
Da un articolo dell’epoca si legge:
“La ragazza, che in un primo tempo sembrò corrisponderlo, aveva poi respinto l’innamorato. Gli stessi genitori di lei erano contrari alla relazione, considerando gli stretti legami di parentela fra i due giovani. Il contadino non aveva saputo mai darsi pace e quando apprese che la famiglia della ragazza si sarebbe trasferita era passato alle minacce: ‘se parti, piuttosto ti sparo’ le disse un giorno. Così la mattina del 22 settembre scorso [1961] mentre la famiglia di Maria transitava, attese la ragazza che procedeva distanziata dai genitori. Nascosto dietro un cespuglio, quando Maria gli passò a pochi metri sparò due colpi con una vecchia rivoltella, un ricordo che il padre aveva portato dall’America. I colpi raggiunsero di striscio alla nuca la ragazza che trovò ancora la forza di fuggire per circa duecento metri, rifugiandosi in una baita in località. Il delitto venne scoperto due ore dopo e più nessuno vide l’assassino.”
“Ieri [16 ottobre] un contadino di Reneuzzi ha scoperto il cadavere di Davide Bellomo. Il contadino quasi quotidianamente si reca col suo cavallo da Reneuzzi a Vegni e da due giorni notava che transitando in un tratto di sentiero incassato fra la roccia l’animale scalpitava e nitriva. Ieri pomeriggio, attratto anche da uno sgradevole odore, volle vederci chiaro e compì una battuta nella zona. Ad una cinquantina di metri dalla mulattiera, dietro un cespuglio, scoprì il cadavere che giaceva supino; la rivoltella era a poca distanza dalla mano destra. Oggi il cadavere è stato trasportato al cimitero di Vegni, dove domattina si recherà accompagnato da un medico, il Pretore di Serravalle Scrivia per le constatazioni di legge. È fuor di dubbio che il giovane si sia sparato con la stessa arma usata per uccidere Maria, e con ogni probabilità ha posto fine ai suoi giorni poco dopo il delitto, sconvolto forse dal suo folle gesto.”
Sei è il numero di colpi confermati dalla perizia necroscopica, avvenuti in località Arvecchia.
Altre fonti parlano di colpi di roncola, anche se la fonte più attendibile è l’articolo citato, tratto da La Stampa del 17 ottobre 1961, nella parte della cronaca del Basso Piemonte.
Nei giorni successivi il delitto, sembra che l’ombra dell’omicida abbia continuato a terrorizzare gli ultimi abitanti di Ferrazza (perché a Reneuzzi non era rimasto più nessuno), invitandoli a lasciare quel luogo maledetto.
E così, con il suo suicidio, Davide conclude anche la storia di Reneuzzi. La famiglia di Maria se ne andrà da Ferrazza e anche quest’ultimo paese saluterà la civiltà. Mariuccia  verrà sepolta nel cimitero di Casella, a Genova.
Di Reneuzzi parla il libro Sono partiti tutti di Giovanna Meriana e il documentario Case abbandonate di Alessandro Scillitani e Mirella Gazzotti.
E’ una storia di isolamento sociale, di disagio psichico e imbruttimento dovuto all’abbandono e, forse, all’ignoranza. E’ la storia di Davide e Maria, nati nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Se fossero nati cento anni prima, la loro vita non sarebbe stata meno grama, ma avrebbero comunque vissuto una realtà diversa. Invece nacquero alla fine di un’era e  furono travolti dal cambiamento. Altrove si iniziava a vivere bene, a circondarsi di agi e sorridere alla vita. Sulle montagne della val Borbera si subiva invece lo stato depressivo causato dalla fine di una civiltà. Chi visse quegli anni in quei posti, che la storia stava tagliando come una spesa inutile, dovette abbandonare quella vita o rimanerne imprigionato.
Ma quel mondo non va dimenticato. Dimenticarlo significherebbe impoverire la nostra vita. Molti di noi discendono probabilmente da persone che vissero in luoghi come Reneuzzi, uomini e donne che se ne andarono in cerca di una vita migliore. Dimenticare quella storia è dimenticare la loro storia. La nostra. Quando un paese viene lasciato a morire, trascina con sé la storia degli uomini e delle donne che vi vissero. Le case crollano, ma non è il peso della storia a sfondare i tetti. E’ la dimenticanza.





243. Angry Betty

Elizabeth Anne Bisceglie, detta Betty, nasce nello Stato di New York il 7 novembre del 1947. Terza di sei figli, proveniente da una cattolicissima famiglia di imprenditori, Betty si laurea in inglese ma il suo sogno è quello di divenire moglie e madre. E quel sogno sembra trovare una sua completa e rassicurante realizzazione nella distinta persona di Dan Broderick, compagno d'università, anche lui cattolico e di famiglia numerosa. Dan ha la faccia pulita e gran voglia di impegnarsi e diventare qualcuno. Betty sposa questo ragazzo di belle speranze, laureando in medicina, nel 1969: è l'inizio della vita di una famiglia (Betty e Dan avranno quattro figli, due maschi e due femmine), ma sopratutto di un sodalizio, di un lavoro di squadra che -secondo le solide convinzioni di Betty- durerà tutta la vita. All'inizio della loro vita matrimoniale, Betty e Dan non hanno molto. Una volta conseguita la sudata laurea in medicina, il padre di Dan ritiene di averlo sostenuto a sufficienza dal punto di vista economico e considera dunque "terminato" il suo compito genitoriale. Dan, però, non vuole smettere di studiare. Da uomo straordinariamente dotato ed intelligente qual è, egli comprende che combinare la sua formazione medica con una laurea in legge sarebbe proprio un gran colpo di genio. Pertanto, il neo dottore in medicina si iscrive alla facoltà di legge di Harvard per divenire anche dottore in legge ed agguantare, finalmente, il successo.
Betty, da moglie solidale, appoggia pienamente il marito e comincia per lei un periodo ancor più duro. Dopo la prima figlia Kim , nasceranno altri tre figli (una femmina, Lee,  e due maschi, Daniel junior e Rhett) su un totale di nove, difficili gravidanze. Betty si occupa dei figli praticamente da sola, affinchè il marito possa studiare a tempo pieno. E lavora, solo lei, affinché il marito non sottragga ore preziose ai libri. Betty è insegnante, bambinaia per i vicini e molto altro: tutto perché Dan possa avere successo e la famiglia non anneghi nei debiti. Betty è una donna che ha sposato non solo suo marito, ma anche la di lui ambizione, e per essa si sacrifica, fino in fondo. Dopotutto, sono una squadra.
All'inizio degli anni Ottanta, Dan -ormai laureato- è un avvocato di successo specializzato in casi di malasanità. Aveva avuto una giusta intuizione: il fatto di essere, contemporaneamente, medico ed avvocato si rivela una carta vincente e lo aiuta nella carriera. Non gli ci vorrà molto per farsi un nome nella comunità legale di San Diego.
E Betty? Che ne è stato della super moglie/mamma che si giostrava tra cinque lavori e quattro figli per consentire al marito di studiare?
Betty guarda con piacere la scalata del marito, il quale ricorre addirittura alla rinoplastica per migliorare la sua immagine. Già, l'immagine. L'immagine è tutto e Betty lo impara presto. Ha smesso di barcamenarsi tra mille mestieri e può finalmente essere solo madre e moglie, accompagnando il marito al country club, in vacanza nel loro chalet di montangna, in viaggio in Europa e dovunque vada la gente che conta.
Betty non si è però resa conto di una cosa: si è ormai identificata totalmente col marito e con la sua carriera, dipende finanziariamente da lui e, in breve, ha praticamente perso se stessa. Il glamour della vita mondana e il luccichio dei gioielli costosi nascondono una realtà familiare che comincia, inesorabilmente, a manifestare le prime crepe. Dan e Betty litigano spesso e quei diverbi sono tutt'altro che glamour. Volano parole pesanti e, talvolta, anche oggetti. Nel 1983  il già traballante ménage dei Broderick ha una nuova decisiva scossa: Dan assume come sua assistente personale la ventunenne Linda Kolkena, ex hostess, bionda, bella, ma sopratutto giovane e spumeggiante. Betty sin da subito vede nella giovane segretaria una rivale, una sua sostituta più giovane. Allora Betty corre ai ripari: perde peso, cerca di eliminare le rughe. Da donna pratica e intelligente qual è, sa che la rivale ha dalla sua l'affilatissima arma della giovinezza. Dan, da parte sua, nega di avere un qualsiasi interesse per Linda e giustifica le sempre più lunghe giornate di lavoro con la necessità di guadagnare e mantenere l'alto tenore di vita della famiglia.
Il 22 Novembre 1983, giorno del trentanovesimo compleanno del marito, la sospettosa Betty decide di giocare la carta della sorpresa romantica: armata di rose rosse e champagne, fa una sorpresa in ufficio al marito. La sorpresa però la riceve lei ed è decisamente amara: suo marito non è in ufficio, le spiegano, perché è uscito con la segretaria. In ufficio ci sono pure i resti di un party privato: due bicchieri di vino, quel che resta di una torta di compleanno.
Betty decide allora di attendere il marito in ufficio, per sfogare tutta la sua rabbia e delusione. Ma Dan, quel giorno fatidico, non torna affatto in ufficio. La reazione di Betty non si fa attendere: tornata a casa, la donna prende gli abiti sartoriali del marito e gli dà fuoco.
Dan, nonostante tutto, continua a negare. Sua moglie è pazza: tra lui e la sua segretaria non c'è nulla. Mentre continua a negare le sempre più evidenti infedeltà, Dan non nasconde più il suo disprezzo: Betty è grassa, stupida, noiosa. Sono due anni di inferno per Betty, la quale si attacca disperatamente a quel matrimonio, che ormai rappresenta la sua identità, ma soffre il distacco sempre crescente del marito. Nel 1985, Dan lascia la moglie e i figli e va a vivere per conto suo. In un altro attacco di cieca furia, Betty carica in auto i quattro figli e li lascia piangenti davanti al portone chiuso della nuova casa paterna. In questo modo, la donna vuole infliggere al marito quella che crede essere una punizione terribile per un uomo in carriera: la condizione di padre "single". In questo modo, pensa Betty, il marito capirà cosa significa gestire una famiglia e tornerà ad apprezzarla. Ma le cose non vanno proprio così. Dan non si perde d'animo: si organizza, assume una baby sitter e decide di non restituire i figli alla moglie.  Di lí a poco, l'uomo chiederà il divorzio, ammettendo di avere da anni una relazione con la segretaria Linda, e vende la casa di famiglia senza interpellare Betty. La donna, di fronte al rifiuto del marito di discutere con lei della cosa, sfonda con l'auto le mura della nuova lussuosa casa di Dan. Da bravo avvocato, esperto di psicologia qual è, Dan ha saputo ridurre alla disperazione la fragile moglie e non perde occasione di mostrare la pericolosità della consorte. Betty, dal canto suo, comincia a lasciare isterici messaggi sulla segreteria del marito: gli insulti, le volgarità dirette al marito e alla nuova fiamma di lui si sprecano. Dan allora comincia a "multarla": per ogni telefonata minatoria, lui le detrae soldi dall'assegno di mantenimento. Nel 1986, Dan Broderick torna un uomo libero: ottiene il divorzio e la custodia dei quattro figli. Solo nel 1988 però si finalizza un accordo economico, con Betty che si rappresenta da sola in tribunale perché, dice, il suo ex marito è troppo influente nella comunità di San Diego e nessuno vuole assumere il suo caso. L'accordo finale prevede un mantenimento per Betty di 16mila dollari al mese sino a quando non si risposerà. Una cifra molto elevata, ma che non soddisfa Betty, dato che l'ex marito guadagna più di centomila dollari al mese. Dopotutto, se lui si è costruito una professione ed un lavoro, lo deve anche agli sforzi della ormai ex moglie, che pochi mesi dopo la finalizzazione del divorzio (ottenuto il 30 gennaio 1989), acquista una pistola Smith & Wesson.
Un segnale preoccupante, che si aggiunge agli atteggiamenti persecutori e alle telefonate minatorie di Betty. É chiaro che l'ex signora Broderick è pericolosamente livida di rabbia, rabbia che le nozze tra Dan e Linda non fanno che esasperare.
La notte del 5 Novembre 1989, 2 giorni prima del suo 42° compleanno, Betty perde il controllo. Una volta per tutte.  Rubate le chiavi di casa alla figlia Lee, Betty si introduce nella casa che l'ex marito divide con la nuova moglie. Silenziosamente, sale le scale e si introduce nella camera da letto padronale. Qui, Betty fa fuoco ben cinque volte: due proiettili colpiscono Linda alla testa e al petto, uccidendola all'istante; un proiettile colpisce al petto Dan, che viene ritrovato sul pavimento con un braccio proteso nel tentativo di raggiungere il telefono. Dan aveva 44 anni. Linda 28.
Convinta dalle figlie a costituirsi, Betty non mostra segni di pentimento. Dal carcere, la donna comincia a tessere la tela di una campagna mediatica che in breve susciterà un clamore nazionale. Betty è molto abile nel fare della sua vicenda privata una parabola pubblica e mediatica sulla condizione della donna. Sempre pronta a sacrificarsi per i figli, il marito  e l'unità della famiglia, spesso la donna non solo non ha alcun riconoscimento, ma anzi, viene disprezzata, maltrattata e tradita. Ovviamente, centinaia di donne si identificano con Betty e le scrivono accorate lettere in carcere per manifestarle vicinanza e comprensione.
In aula, l'avvocato di Betty gioca -in modo teatrale- la carta dei sogni di famiglia distrutti. Distrutti da un marito che ha privato pian piano la moglie di figli, casa e stabilità, portandola così all'esasperazione e all'omicidio.
L'accusa a sua volta insisterà sull'odio. L'odio che Betty ha covato per anni, che ha espresso in decine di telefonate oscene registrate accuratamente da Dan Broderick sulla segreteria telefonica di casa e poi trascritte. Una in particolare, in cui la donna viene registrata mentre parla col figlio più piccolo che la invita, piangendo, a calmarsi, non lascia dubbi su quanto Betty si sia lasciata accecare dall'odio e dalla sete di vendetta, anteponendo ad essa persino i propri figli.
Betty Broderick, l'icona delle mogli usate e poi gettate via, viene condannata per duplice omicidio di secondo grado, con possibilità di chiedere la libertà sulla parola nel 2010. Quella possibilità le è stata poi negata, data la mancanza di rimorso mostrata dalla donna. Nel 2011, le è stata nuovamente negata la libertà vigilata, dopo una drammatica audizione di 5 ore in cui i suoi quattro figli si sono divisi (due di loro hanno hanno sostenuto che la madre dovesse restare in carcere). Anni ed anni di detenzione non hanno piegato "Angry Betty", come è stata ribattezzata dai media. Lei è ancora "angry" ("arrabbiata") e non prova alcun rimorso per l'omicidio di Dan e Linda, che oggi riposano l'uno accanto all'altra nel Greenwood Memorial Park, a San Diego.





242. Le sorelle Grimes

E' il 1956 e Barbara e Patricia sono due ragazze come tante, due sorelle come tante. Hanno quindici e tredici anni, le sorelle Grimes, e vivono a Chicago con mamma Loretta e con altri cinque, tra fratelli e sorelle. Il padre non c’è, perché i genitori sono separati. A casa Grimes mancano spesso acqua e luce, ma, come dice Loretta, queste carenze materiali sono compensate dall’amore, che in questa famiglia non manca.
Le sorelle Barbara e Patricia adorano Elvis Presley ed hanno visto "Love me Tender" ben dieci volte e no, non ne hanno ancora abbastanza. Vogliono rivederlo, ancora una volta. E così, la sera del 28 Dicembre del 1956,  le sorelle Grimes sono lì, puntuali alle 21 e 30, fuori dal Brighton Theater, in fila per i pop corn.
Alle 23, eccole su un autobus diretto a est. Due sorelle, due brave ragazze, che di certo a quell’ora fanno ritorno a casa. E invece no. A casa, Patricia e Barbara non ci tornano.
Le cercano per venticinque giorni. Le cercano tutti. Ma proprio tutti.
Persino Elvis Presley invita le due sorelle a tornare a casa dalla loro preoccupatissima madre. Le ragazzate devono pur finire, perché è questo che crede mezza Chicago: che si tratti di una fuga volontaria. E mezza Chicago le avvista, le segnala, le rintraccia. A poco più di ventiquattro ore dalla scomparsa, dei compagni di classe le vedono da Angelo’s, un ristorante nella zona sud della città. Poi è il turno di un autista, che però crede di averle incontrate in un sobborgo a nord di Chicago. E ancora, una guardia giurata racconta di aver dato indicazioni a due ragazzine – presumibilmente, Patricia e Barbara Grimes – il giorno successivo alla sparizione, ma a nord ovest. Un albergatore afferma di aver rifiutato di affittar loro una camera proprio per la loro giovane età, mentre il commesso di un negozio di dischi giura di averle notate, intente ad ascoltare l’album di Elvis Presley.
Paradossalmente, la signora Loretta è l’unica che scuote la testa. Le sue figlie non sono scappate. Questo non è un colpo di testa. Questa non è una ragazzata. Ѐ successo qualcosa, qualcuno le trattiene. "Sarà", replica la polizia, che però continua a cercare. E alla fine, le trova. Le trova a sud est, nella contea di Cook. Le trova lungo le sponde del Devil’s Creek, cioè il “Ruscello del Diavolo”. Ѐ il 22 gennaio 1957. Barbara e Patricia sembrano due manichini. Senza vestiti. Senza vita. Congelate.
Da quanto sono lì? Cos’è successo? Sono morte la sera della scomparsa? Difficile stabilirlo. Oltre agli avvistamenti discordanti, altre cose sono accadute. A Loretta Grimes è arrivata una lettera da qualcuno che le ha chiesto un riscatto. E allora, il 12 gennaio 1957, dieci giorni prima del ritrovamento, Loretta, seduta su una panchina, aspetta. Ha il consenso dell’FBI e una borsa piena di soldi, che però nessuno ritirerà mai.
La lettera è opera di un mitomane e mentre Loretta aspetta, forse, Barbara e Patricia sono già morte. O forse no. Perché, altrimenti, sarebbe difficile spiegare le telefonate ricevute da Wallace Tollstan, la notte del 14 gennaio. La figlia di Wallace – Sandra – è in classe con Patricia Grimes ed è proprio la voce di quest’ultima che l’uomo crede di riconoscere quando, intorno alla mezzanotte, alza il ricevitore. Pochi secondi e una ragazzina che chiede, sussurrando, se Sandra è in casa. Prima che l’uomo riesca a passare la telefonata alla figlia, la comunicazione s’interrompe… ma dall’altra parte, dall’altra parte c’era una spaventata Patricia Grimes, non c’è dubbio. Lo sceriffo Lohman e il detective Glos, però, qualche dubbio ce l’hanno. I corpi di Barbara e Patricia sembrano giacere sulla riva di Devil's Creek già da un pò, forse prima del 9 gennaio. Ci sono state pesanti nevicate e le rigide temperature hanno contribuito a preservare i corpi, a conservarli nello stato in cui erano al momento della morte. Barbara giace sul fianco sinistro. Le gambe piegate, la testa coperta dal corpo della sorella. Patricia invece è sdraiata sulla schiena, la testa girata -di netto- a destra. Sembra che braccia frettolose e ansiose di disfarsene, abbiano scaricato, anzi, forse persino lanciato quei corpi. Magari da un’auto in corsa.
Lo sostengono gli investigatori ed anche i giornali, che fanno presto a rispolverare un altro omicidio plurimo che aveva fatto rabbrividire l'intera Chicago, sempre in gennaio, ma 2 anni prima: il caso Schuessler-Peterson. Due cognomi, tre bambini. I fratelli John e Anton Schuessler e il piccolo Bobby Peterson. Hanno quattro dollari in tutto, quel pomeriggio. Quattro dollari, quanto basta per trascorrere un pomeriggio al cinema e guardare un film che non racconteranno mai. I tre ragazzini, infatti, vengono ritrovati due giorni dopo: senza vestiti e senza vita. Probabilmente strangolati, gli occhi bendati dal nastro adesivo, probabilmente scaricati da un veicolo in corsa. L’innocenza sembra aver voltato le spalle a Chicago, quel pomeriggio del 1955. E il delitto Grimes sembra confermarlo: non c’è più spazio per l’innocenza,  in questa città. I due episodi poi hanno delle inquietanti analogie: i corpi nudi, lasciati in un’area desolata, come manichini abbandonati. E se i tre bambini non hanno ancora avuto giustizia, per le sorelle Grimes la storia avrà un finale diverso. O almeno, così si spera. E ci s’impegna molto, sin da subito: ben 162 agenti sulla scena del crimine, ben 162 agenti camminano lungo il Ruscello del Diavolo, ben 162 agenti calpestano qualunque prova sia rimasta. E la confusione cresce, nei giorni seguenti: sui corpi di Patricia e Barbara ci sono dei segni strani, delle ferite tanto difficili da spiegare che neppure l’autopsia riesce a fare chiarezza. Quando sono morte le due sorelle? E qual è stata la causa della morte? Congelamento, a quanto pare. Sì, ma se sono morte il 28 dicembre - la notte stessa della scomparsa - come spiegare i numerosi avvistamenti dei giorni successivi? E se i corpi sono lì, al Ruscello del Diavolo, dal 28 dicembre… come mai nessuno li ha notati prima?
I cadaveri di Barbara e Patricia restano nell’obitorio per un mese, a disposizione del coroner e degli inquirenti. Un “soggiorno” forzato che però non porta a nulla di concreto. Niente data, né causa della morte. E così le ragazze vengono restituite alla madre e il 28 gennaio 1957 le sorelle partono per il loro ultimo viaggio. A ricordarle, una lapide semplice e spartana. Ma non c’è bisogno di tener viva la memoria, perché Chicago non le dimentica. Anzi, la città è ossessionata dal ricordo delle ragazze uccise: viene organizzata una raccolta fondi in favore della famiglia, vengono distribuiti volantini con richieste d’informazioni e persino l’autorevole quotidiano "Chicago Tribune" invita tutti quelli che hanno visto o sanno qualcosa a scrivere una lettera alla redazione. Ogni lettera verrà ricompensata con cinquanta dollari. Ancora, si pubblicano foto delle amiche di Patricia e Barbara, con indosso abiti simili a quelli delle due vittime (abiti, peraltro, mai ritrovati) nel tentativo di rinfrescare la memoria di qualche testimone distratto. E poi, gli interrogatori. E i sospettati. Circa duemila. E tutti, TUTTI, trattenuti e torchiati a dovere. Max Field, diciassette anni, è uno di loro. La macchina della verità lo mette alle strette e confessa di aver rapito le due ragazze. È lui? È lui, il mostro? Non lo sapremo mai: c’è stato un grave vizio di forma, poiché i minorenni non possono essere sottoposti alla macchina verità. Field viene rilasciato, per poi essere nuovamente arrestato – anni dopo- per l’omicidio di un’altra donna. Nel frattempo, tantissimi sono i mitomani e i malati psichici che si sentono in dovere di dire la propria: menzogne, visioni, interferenze. Per questo, quando mette le mani su Edward Bedwell, lo Sceriffo Lohman si guarda bene dall’allentare la presa. Bedwell è un vagabondo, fortunato possessore di un ciuffo alla Elvis. Lo hanno visto insieme alle Grimes in un ristorante, dove talvolta lui lava i piatti in cambio di cibo. E sì, Bedwell ammette di esser stato in quel ristorante - il “D&L” - con due ragazze, ma nega che si tratti delle Grimes.
I proprietari- John e Minnie Duros- raccontano che con Bedwell c’erano due ragazze e un altro uomo. La ragazza più alta (Patricia Grimes?) aveva qualcosa che non andava. Seduti al tavolo, i quattro ascoltavano le canzoni di Presley che il juke box suonava. La presunta Patricia sembrava ammalata o ubriaca. Poi gli altri tre l'avrebbero trascinata fuori dal locale. A Minnie, che si era opposta, l’altra ragazza (Barbara?) avrebbe detto – forse per tranquillizzarla- che loro due erano sorelle. Lo Sceriffo Lohman crede alla versione di Minnie. Sembra plausibile. E poi, Bedwell somiglia a Elvis, cosa che sicuramente deve averlo aiutato ad adescare le ragazzine e a convincerle ad andare con lui. Alla fine Bedwell, non solo confessa una torbida storia di sesso, alcool e violenza, ma ritorna sul luogo del crimine e ricostruisce, per Lohman, l’uccisione delle due ragazze.
Caso chiuso? Sì, sostiene lo sceriffo. Ma i suoi colleghi e il Procuratore Distrettuale non sono convinti. La confessione del vagabondo è contraddittoria, piena di falle. Sembra estorta e così è, in effetti: Bedwell ammette di essere stato interrogato con metodi brutali dagli uomini di Lohman e viene dunque scarcerato. Qualcuno però appoggia Lohman. Si tratta del detective Glos: anche lui è convinto che Bedwell c'entri qualcosa col delitto Grimes, convinzione che si rafforza quando Bedwell finisce nei guai per lo stupro di una tredicenne, avvenuto in Florida. La ragazzina racconta non solo di aver subito violenza ma di essere stata rapita e tenuta prigioniera. Una dinamica che si potrebbe applicare alla vicenda delle sfortunate sorelle di Chicago, sostiene Glos. E quelle ferite, quei segni di punture su cui l’autopsia non ha saputo fare chiarezza, potrebbero avere una torbida spiegazione: le due ragazze sono state picchiate, malmenate a lungo e probabilmente molestate. Sospetto, quest’ultimo, che poi sarà confermato con grande riluttanza dalla Scientifica di Chicago. Ma l’atteggiamento di Glos non piace: è un uomo duro, critico, irriverente. Il coroner, Walter McCarron, fa in modo che il caso gli venga tolto e che non possa più ficcare il naso nelle indagini. Almeno ufficialmente. Eh sì, perché Glos continuerà ad indagare sul delitto Grimes per conto suo, senza alcun compenso, al fianco dello Sceriffo Lohman. Quest’ultimo è l’unico a dar credito alle ipotesi di Glos: le ragazze sono state torturate e molestate da un predatore sessuale, che le ha attirate con i suoi modi gentili e la faccia da bravo ragazzo. E quel predatore è Benny Bedwell. Di questo Lohman è convinto e lo sarà fino alla morte, avvenuta nel 1969. Un maniaco ha ucciso le due sorelle? Sì, può darsi. Questa ipotesi però a poco a poco corrode l’immagine di Barbara e Patricia: da innocenti teenagers che cantano Love me Tender diventano nell’immaginario collettivo due ragazze facili, che accettano da bere da uomini più maturi e non ignorano "i fatti della vita". Anzi.
Secondo le indiscrezioni che Glos lascia trapelare, entrambe erano sessualmente attive. Il coroner aveva tenuto queste informazioni per sé, forse per motivi religiosi, forse per non urtare la morale del tempo, forse per non pugnalare il cuore già straziato di Loretta Grimes, alla quale nessuno avrebbe osato spiegare che probabilmente le sue bambine erano entrate in un brutto giro, dal quale avevano tentato di uscire. Pagando con la vita. Sì, ma…chi è stato? Il tempo passa. Il caso diventa "freddo".
La verità non solo si allontana, ma è avvolta da un mistero, denso e oscuro come solo le storie di fantasmi sanno essere. Le sorelle Grimes sono state gettate -senza tanti complimenti- in un luogo dal nome sinistro, il Ruscello del Diavolo, a poca distanza dal quale sorgeva una casa. Isolata, protetta dagli alberi, abitata da una famiglia che –inspiegabilmente- l’abbandona in tutta fretta dopo la scoperta dei due corpi. Più che un trasloco, sembra una fuga: oggetti personali, mobili, giocattoli sono ancora tutti lì, all’interno della casa o sparsi in cortile. E davanti all’ingresso, una vecchia auto viene divorata per anni dalla ruggine. Perché tanta fretta? Chi abitava nella casa ha forse visto qualcosa che non avrebbe dovuto? Le risposte sfuggono. Non sfugge, invece, la casa abbandonata all’occhio sempre attento dei vandali, che, infatti, la incendiano.
Ma la forza del fuoco non è sufficiente: non solo le fiamme lasciano intatte le fondamenta, l’impianto di riscaldamento e il portico – che restano ben visibili, tra le rovine- ma non riescono a spazzare via nemmeno quei rumori, strani e inspiegabili. Porte che sbattono, il motore di un’auto che arriva a tutta velocità, uno sportello che si chiude. Decine di passanti giurano di aver udito questi suoni inquietanti e una donna addirittura crede d’aver visto due corpi nudi sul greto del fiume. La polizia controlla, cerca, verifica. Non c’è nessuno. L’area è disabitata.  Non c’è più nessuno lungo il Devil’s Creek. E allora, di cosa si tratta? Semplice suggestione? Impressione profonda suscitata da un duplice assurdo delitto? Ai fenomeni paranormali, ognuno è libero di credere o no. Ma camminando lungo le rive del Ruscello del Diavolo, si respira ancora tutta la paura e l’angoscia di due morti inutili.





241. La sigaraia

Quella che all'epoca dei fatti - il 1841 - venne considerata con grande scalpore la misteriosa morte della "sigaraia" Mary Rogers (la "Beautiful Cigar Girl"), oggi a New York meriterebbe, sì e no, un trafiletto in qualche angolo di pagina di un quotidiano,  il caso non venne mai risolto e destò l'interesse di Edgar Allan Poe, che lo seppe trasformare in una storia. A distanza di decenni dalla morte della ragazza, si ritenne che l'ipotesi suggerita da Poe potesse in parte essere corretta, al punto che uno scrittore arrivò a pensare che lo stesso Poe potesse essere coinvolto in qualche modo.
Mary Cecilia Rogers era nata a New York nel 1820. La madre, rimasta vedova quando la bimba aveva solo cinque anni, sbarcava il lunario gestendo camere in affitto a Nassau Street. Crescendo, Mary era diventata una gran bella ragazza, slanciata, coi capelli corvini. La sua avvenenza aveva attirato l'attenzione di un negoziante, un certo John Anderson, che mandava avanti un negozio di sigari a Broadway, il quale le propose di diventare sua commessa. Proposta alquanto spudorata, se si pensa che la New York del tempo era ancor più “vittoriana” e bigotta di Londra e che una rivendita di sigari era ovviamente frequentata esclusivamente da uomini, giovani e meno giovani, più o meno incalliti fumatori. "Esporsi" davanti a una tale clientela non era una cosa vista di buon occhio. La madre, infatti, si era opposta, ma alla fine l'entusiasmo della ragazza era riuscito a prevalere. In breve, il lavoro di Mary aveva dato ottimi risultati, attirando al negozio molti nuovi clienti, sebbene la giovane continuasse a mantenere un comportamento assolutamente irreprensibile. Anche se a volte il suo sorriso pareva accattivante e pieno di promesse, non c'era proposta che non venisse prontamente respinta. Dopo aver lavorato assiduamente per dieci mesi nel negozio di Anderson, un giorno del gennaio del 1841, Mary non si presentò più. Era come sparita all'improvviso. La madre non aveva la minima idea di dove potesse trovarsi. Anche il suo datore di lavoro, il signor Anderson, non sapeva capacitarsi della sua scomparsa. La polizia si era attivata e la notizia era comparsa sui giornali. Ma sei giorni dopo, Mary era riapparsa, tirata e all'apparenza malata, dicendo che era andata a far visita ad alcuni parenti lontani. Mamma e datore di lavoro si erano accontentati della spiegazione. Quando però nel quartiere comiciarono a girare voci che dicevano che Mary era stata vista, durante l'assenza dal negozio, in compagnia di un bell'ufficiale della Marina, la ragazza, a soli pochi giorni dal rientro a casa, scomparve nuovamente da Broadway, questa volta definitivamente, decidendo di andare a lavorare con sua madre.
Un mese dopo, Mary annunciò alla mamma il proprio fidanzamento con un uomo che era stato un suo affittuario, un impiegato di nome Daniel Payne. Cinque mesi dopo, domenica 25 luglio 1841, alle 10 in punto del mattino, Mary aveva bussato alla porta del fidanzato annunciandogli che stava per recarsi a trovare una zia a Bleecker Street. Payne le aveva risposto che sarebbe passato a prenderla verso sera. Il giovane passò anche lui la giornata fuori casa, ma poi, a causa di un violento temporale, aveva deciso di rientrare senza passare da Mary, che avrebbe così potuto dormire dalla zia. Anche la madre si era detta d'accordo. Ma quando il giorno dopo Mary non aveva fatto ritorno a casa, la mamma aveva incominciato a preoccuparsi. Quando Daniel, tornato dal lavoro, lo aveva saputo, si era precipitato a casa della zia - una certa signora Downing - vedendo crescere ulteriormente la sua agitazione nel venire a sapere che la ragazza non era affatto andata a farle visita. Due giorni dopo, il mercoledì, tre pescatori su di una barca, mentre si trovavano nelle acque di Castle Point, a Hoboken, rinvennero il cadavere di una donna. Era la povera Mary. Stando alla cronaca riferita dal «New York Tribune», il corpo era «orribilmente mutilato e seviziato». Mary era completamente vestita, anche se gli abiti erano tutti rovinati e le mancava il bustino. Un pezzetto di pizzo strappato dall'orlo della gonna le era stato conficcato così profondamente nella gola da non essere neppure visibile a una prima osservazione. L'autopsia confermò ciò che ci si aspettava: la ragazza era stata brutalmente violentata. Abbastanza stranamente, il fidanzato si rifiutò di andare a riconoscere il corpo, pur essendo stato fra i più attivi ricercatori della ragazza. Dopo essere stato interrogato dalla polizia, Daniel era stato subito rilasciato. Passata una settimana senza alcuna novità, era stata fissata una lauta ricompensa. Poi il coroner aveva ricevuto la lettera anonima di un uomo - il quale giustificava il periodo di silenzio per motivi che definiva di "prudenza" - che diceva di aver visto Mary Rogers la domenica pomeriggio, giorno della sua sparizione. La ragazza era scesa da un'imbarcazione con sei loschi figuri e con loro si era inoltrata nel bosco, ridendo e scherzando ad alta voce, come se non ci fosse stato alcun problema né costrizione. Immediatamente dopo, era attraccata una barca da cui erano scesi tre gentiluomini. Uno di questi, fermati due pescatori, aveva domandato se avessero per caso notato una ragazza in compagnia di sei uomini. La risposta, ovviamente, era stata affermativa. Uno dei pescatori aveva anche sottolineato l'allegria della ragazza. Dopodiché, il trio era risalito in barca per dirigersi verso New York. Rintracciati, i due pescatori avevano confermato ogni cosa. Tuttavia, pur conoscendo Mary di vista, nessuno di loro si sentiva di asserire in tutta certezza che la giovane fosse davvero Mary Rogers. La successiva importante informazione arrivò da un cocchiere, un certo Adams, il quale disse di aver notato Mary arrivare allo scalo di Hoboken in compagnia di un uomo alto, vestito elegantemente. Si erano fatti accompagnare alla taverna "Nick Mullen”. La locanda era tenuta da una certa signora Loss, la quale testimoniò alla polizia che la coppia, dopo essersi «riposata e rinfrescata», se n'era andata dirigendosi verso il bosco. Qualche momento dopo, aveva udito delle grida provenire da laggiù, ma dal momento che il luogo «non era proprio un posticino raccomandabile» non ci aveva fatto caso più di tanto.
A due mesi dall'assassinio, il 25 settembre, alcuni ragazzi che stavano giocando nel bosco avevano trovato il corpetto mancante di Mary assieme a un biglietto, una sciarpa di seta, un parasole e un fazzoletto con le iniziali "M.R.". Il fidanzato di Mary, qualche tempo dopo, si suicidò in quello stesso punto. Venne arrestato un giocatore d'azzardo, Joseph Morse, che viveva su Nassau Street, sospettato dell'omicidio, dal momento che alcuni testimoni dichiaravano di averlo visto in compagnia di Mary la sera in cui era scomparsa. Combinazione, proprio il giorno dopo l'assassinio, Morse aveva lasciato New York. Fatti gli opportuni accertamenti, Morse venne però rilasciato, in forza di un alibi di ferro, avendo ampiamente dimostrato di aver trascorso il pomeriggio di domenica a Staten Island in compagnia di un'altra giovane donna. In un singolare resoconto, comparso sul quotidiano «Tribune», si lesse che Morse era convinto che la giovane donna con la quale aveva trascorso la giornata fosse Mary Rogers e che quando aveva saputo del corpo ritrovato aveva paventato si fosse suicidata a seguito di ciò che era successo fra loro: lui aveva tentato di usarle violenza, mentre si trovavano nella sua camera. Quando era venuto a sapere che la ragazza era ancora viva e vegeta, aveva tirato un gran respiro di sollievo.
L'anno dopo, nel 1842, usciva in tre puntate il racconto di Poe intitolato “Il mistero di Marie Roget”. Chiunque creda di trovarvi la soluzione del delitto vero, quello di Mary Rogers, è bene consideri la questione con estrema cautela.
Poe immagina che Mary non sia stata uccisa da una banda, ma da un solo individuo. Il solo scopo sarebbe stato quello della violenza sessuale. Quando però, qualche tempo dopo, Poe venne a sapere della ventilata ipotesi che la ragazza fosse morta a séguito di un aborto, aveva rivisto la sua storia, modificandola in parte. Dai segni di lotta rintracciati nel bosco e dalle tumefazioni del volto, Poe dedusse che la ragazza fosse stata uccisa da un uomo solo, perché se fossero stati in tanti a concorrere alla sua uccisione certamente l'avrebbero massacrata in modo assai peggiore. Gli abiti arrotolati attorno al corpo, però, sarebbero potuti servire come punti di presa, delle maniglie, per poterla trasportare, assecondando la teoria del gruppo, anche se la testimonianza dei due pescatori che avevano recuperato il corpo non menzionava questo particolare.
Comunque, a parte questa osservazione, è indubbio che le obiezioni fatte da Poe a proposito della teoria del gruppo ebbero comunque un notevole peso. In un articolo comparso sul una rivista, due giornalisti suggerirono l'ipotesi che lo stesso Poe potesse essere l'assassino. Stando a un testimone, Mary era stata notata in compagnia di un uomo, elegante, alto e di carnagione scura. Poe era olivastro di pelle e solitamente elegante, ma non poteva certo dirsi un uomo alto, poco più di un metro e sessanta. Forse l'aveva uccisa in un raptus di «pazzia provocata dall'alcol». Proprio nel 1841, Virginia, la moglie, stava morendo di tisi e Poe si trovava in una condizione psichica certamente instabile. Scriverà, più tardi: «Divenni folle, con lunghi intervalli di orribile normalità - in questi momenti di vuoto bevevo soltanto, solo Dio sa quanto». Eppure non uno dei numerosi suoi biografi ha mai descritto Poe come una persona violenta, anzi, molti ne enfatizzano l'affabilità e la gentilezza. La storia, lo sappiamo, è piena di uomini geniali dediti all’alcol - basti pensare a Ben Jonson o a Caravaggio - capaci anche, in condizioni di alterazione psichica, di sfidare a duello e uccidere un uomo. Ma nessuno fra i testimoni aveva segnalato che l'uomo visto con Mary Rogers sembrasse ubriaco.
La figura di Poe come demoniaco assassino della povera sigaraia deve senz'altro essere abbandonata e relegata nel reame delle ipotesi fantasiose.
Il datore di lavoro di Mary, il signor Anderson, era stato a lungo sospettato dalla polizia, anche se poi, alla fine, era stato rilasciato come tutti gli altri fermati. Ma mezzo secolo dopo, nel 1891, erano emersi altri importanti particolari. Si venne a sapere che Anderson - all'epoca ormai morto da dieci anni - era diventato ricchissimo e si era trasferito a Parigi. Da quello che aveva raccontato agli amici, aveva trascorso «giorni terribili a causa di lei» (Mary Rogers) e si sentiva in contatto col suo spirito. Alla sua morte, gli eredi avevano reclamato le sue fortune e nel 1891 la figlia aveva contestato il testamento asserendo che quando il genitore l'aveva siglato non era più in grado di intendere e di volere. Il caso era approdato in tribunale, ma la documentazione era andata distrutta. Un avvocato, Samuel Copp Worthen, amico intimo di Laura Appleton, la figlia di Anderson, era venuto a sapere che presso gli uffici dell'impresa gestita da Anderson esisteva una copia degli atti del caso della Corte Suprema di New York e si era dato da fare per recuperarli. Ciò che era emerso era stato oggetto di un lungo articolo che Worthen aveva pubblicato in un numero di «American Literature» del 1948. Si era così venuto a sapere che nei lunghi interrogatori cui la polizia aveva sottoposto Anderson, l'uomo era “uscito di testa”, al punto addirittura da rinunciare alla sua prevista candidatura a sindaco di New York, nel timore che qualcuno potesse mai scoprire quel suo segreto. Ma la parte più significativa della sua testimonianza stava nell'ammissione di aver sostenuto le forti spese per un aborto di Mary e che quel «peso continuava a portarselo dietro», pur precisando con vigore che «lui, da parte sua, non aveva nulla a che vedere con quella faccenda». Questo ben spiegherebbe l'improvvisa assenza di una settimana di Mary e il suo aspetto stanco e malato al ritorno e forse anche la successiva pressoché immediata nuova sparizione, dovuta non tanto alle malelingue a proposito del giovane ufficiale di Marina, quanto alla necessità di prolungare ancora di qualche tempo la convalescenza. La teoria proposta da Worthen sostiene che a sei mesi dal primo, Mary era stata costretta a un secondo aborto, e ancora una volta era andata a battere cassa dal suo datore di lavoro, il signor Anderson. Quando la domenica mattina era uscita di casa, era diretta a Hoboken per sottoporsi all'intervento abortivo. Non a caso, tra le tante storie, girava anche quella secondo cui la signora Loss, la locandiera, in punto di morte, avrebbe confessato che Mary Rogers era proprio morta dissanguata a séguito di un aborto non riuscito. Una storia mai considerata, ma verso la quale ad un certo momento delle indagini si era decisamente volta l'opinione degli investigatori. Mary, dunque, era morta durante l'aborto e il corpo era stato gettato nel vicino fiume per coprire la questione illecita, ma soprattutto i protagonisti, l'uomo dalla pelle olivastra visto con lei allo scalo e la famiglia Loss, che aveva affittato la stanza per l'intervento.
Fino a che punto questa ipotesi si adatta ai fatti così come li conosciamo? La risposta è: assai bene, specie se assumiamo come concreta l'eventualità che il padre del secondo nascituro fosse Daniel Payne, visto che Mary non aveva intenzione di sposarlo e, probabilmente, non aveva affatto troncato la precedente relazione con l'altro amante (nulla si è chiarito in merito, ma è più che plausibile immaginare che l'uomo fosse proprio il signor Anderson).
Ciò assodato, immaginiamo che Daniel Payne fosse al corrente che Mary stava recandosi a Hoboken per sottoporsi all'aborto. Immaginiamo anche che la gravidanza fosse appena all'inizio e che dunque l'operazione non l'avrebbe stremata più di tanto, tenendo anche nel giusto conto il fatto che la ragazza già era andata incontro a un aborto dal quale si era ripresa nel giro di una settimana, pur uscendone debilitata. Quasi certamente la madre di Mary era al corrente di ogni cosa. Era opinione comune al tempo dei fatti, che la mamma della ragazza sapesse ben più cose di quante ne aveva confessate alla polizia a proposito dell'amante segreto della figlia. Che dire, allora, delle testimonianze a proposito della banda di sei uomini? Niente di particolare, perché non è affatto detto che quella ragazza fosse veramente Mary Rogers. Piuttosto, è probabile che la lettera anonima in cui si raccontava di aver visto Mary inoltrarsi nel bosco in compagnia di sei uomini sospetti, potesse tranquillamente essere un falso, una missiva scritta dalla stessa signora Loss o da uno dei suoi amici: la località di spedizione era Hoboken. Il passo successivo sarebbe stato quello di convincere due amici a presentarsi a testimoniare di essere i due pescatori che avevano visto Mary entrare nel bosco e, interrogati sul molo, ne avevano dato conferma ai tre misteriosi uomini eleganti scesi dall'imbarcazione...
Il risultato sarebbe stato un perfetto depistaggio che avrebbe condotto le indagini degli inquirenti verso tutt'altre direzioni rispetto a quella vera. Che dire, poi, del corpetto trovato nel bosco? Guarda caso, particolare niente affatto da trascurare, esso era stato trovato da una delle figlie della signora Loss. Il corpetto, come tutti gli altri oggetti poi ritrovati, avrebbe potuto essere stato dimenticato nella stanza, quando, una volta spirata, Mary era stata prelevata nel cuore della notte per essere gettata nel fiume, e quindi abbandonato nel bosco in un punto in cui la vegetazione spezzata e calpestata avrebbe potuto far pensare a una colluttazione.
Infine, che dire in merito alla presunta violenza carnale subita da Mary? Il rapporto del giudice sembrava insistere su questo, ma in realtà non è chiaro se la poveretta venne visitata in questo senso da un medico e, se si, quali furono le sue conclusioni. Ciò che di certo si sa è che quando era stato trovato, il corpo della giovane aveva già iniziato a decomporsi e che, a causa del torrido luglio di quell'anno, da lì a poche ore era stata inumata, cosa che avrebbe difficilmente consentito di espletare tutte le operazioni investigative necessarie sul cadavere. A questo proposito, vale la pena ricordare che nel 1841 la medicina legale stava compiendo i primissimi passi ed è molto improbabile che qualcuno si sia preoccupato di prelevare un campione vaginale per verificare la presenza o meno di sperma. Ciò che a una superficiale osservazione erano sembrati i segni di uno stupro, avrebbero potuto benissimo essere quelli di un aborto malriuscito. Daniel Payne, il fidanzato di Mary, si andò ad uccidere nel medesimo punto in cui si diceva che la sua amata ragazza fosse stata violentata. Il suicidio di Payne sembra certamente doversi collegare al fatto che il figlio che Mary Rogers stava aspettando era suo. Certo, pensare che uno dei casi di omicidio considerati più intriganti di tutta la storia del crimine si riduca alla fine molto semplicemente a un tentativo di aborto non riuscito, è una cosa abbastanza irritante. Ma perché sono ancora oggi così pochi coloro che lo sanno? In buona parte perché Poe, con il suo racconto, ha sin da subito depistato da questa traccia. Nell'edizione delle opere di Poe comparsa nel 1850, a un anno dalla sua morte, il racconto di "Marie Roget" compare con una nota a margine in cui si dice: «Vale la pena ricordare... che le confessioni di due persone - una di queste la signora Dulac del racconto (corrispondente alla signora Loss) - rese in momenti differenti molto dopo la pubblicazione, hanno rivelato non solo la conclusione generale dei fatti, ma anche i più piccoli dettagli che consentono di ritenere tali conclusioni senz'altro attendibili». Questo è ovviamente impossibile. L'unica cosa che la signora Loss aveva ammesso era che la povera Mary era morta a seguito delle emorragie derivate dall'aborto praticato in una stanza della sua locanda. Invece l'ipotesi di Poe contempla un uomo che colpisce in un momento passionale, e che poi trascina il cadavere fino al mare.
La soluzione più credibile opta per una morte avvenuta a causa di un embolo, una morte che chi aveva agito, d'accordo con la signora Loss, aveva voluto far credere diversa, stringendo una striscia della tela della gonna di Mary attorno al collo con tale energia da fargliela penetrare nella carne. Poi, insieme, i due avevano trasportato il corpo fino al mare. Insomma, il racconto di Poe è tutt'altro che una fedele ricostruzione dei fatti, anzi. Poe non sarà stato un assassino, ma era di certo un ottimo bugiardo.
Pare che l'aborto andato male di Mary sia stato eseguito dalla famigerata Madame Restell, una abortista che praticava questo genere d'intervento ai tempi in cui era ancora considerato un crimine. La Restell si tagliò la gola nella sua vasca da bagno nel 1878 ed è ora sepolta nel cimitero di Sleepy Hollow.
E' probabile che l'identità di chi ha ucciso Mary Rogers quella notte d'estate non sarà mai svelata, ma è possibile ripercorrere i suoi ultimi passi presso le rovine della Grotta della Sibilla. Della tomba di Mary si è persa ogni traccia, ma è possibile ancora oggi visitare l'ultima dimora del suo datore di lavoro, John Anderson, che morì a Parigi, ma che fu sepolto nel cimitero di Green-Wood, nel mausoleo di famiglia.


  











240. Hai mai danzato col Diavolo nel pallido plenilunio?

Gli archeologi ritengono di aver individuato in Scozia il luogo di sepoltura di Lilias Adie, che venne accusata di essere una strega e che, dopo la morte in prigione, fu sepolta nel fango e coperta da una pesante pietra piatta. Era convinzione tradizionale, infatti,  che le streghe potessero risorgere dalle loro tombe se non costrette a restare sottoterra da una pesante pietra.  
Il 29 agosto del 1704, nel piccolo villaggio di Torryburn,  ad ovest di Fife,  un'anziana donna, Lilias Adie, venne accusata di aver causato la malattia di uno dei suoi vicini, un certo Jean Nelson. Convocata di fronte ai ministri e agli anziani della chiesa di Torryburn, la povera vecchia Lilias, confusa, confessò di essere davvero una strega. Disse dinanzi alle facce truci degli  anziani del comitato della chiesa che aveva incontrato il Diavolo in un campo di grano e lo aveva accettato come suo amante e padrone. La donna, terrorizzata, descrisse come lei e il diavolo avevano trascinato molti altri, di cui fece i nomi, in una selvaggia danza pagana. Secondo Lilias, era apparsa una strana luce ultraterrena di colore blu che aveva seguito i ballerini per il campo di grano. I suoi racconti furono ovviamente accettati come prova inconfutabile dei suoi rapporti con il Diavolo. Lilias, secondo i documenti ufficiali, era morta in carcere ed era stata sepolta nel fondale del mare di Torryburn.
Secondo la BBC, Lilias venne sepolta nel profondo del fango tra l'alta marea e la bassa marea ed una lastra in pietra era stata posta sulla parte superiore. Fu un evento piuttosto inusuale, perché alla maggior parte delle streghe non veniva concesso l'onore della sepoltura. Esse venivano semplicemente scaricate nelle fosse.
Può darsi che Lillias si fosse in realtà uccisa, perché fino al 19° secolo, le vittime di suicidio venivano sepolte proprio in questo modo, sulla riva, in terra sconsacrata.
Secondo il folklore locale, i cadaveri delle persone che avevano avuto una "mala morte", come nel caso di suicidi e individui giustiziati, sarebbero tornati dal regno dei morti per tormentare i vivi. La stessa convinzione era applicata alle streghe. Per questo motivo, sulla tomba del defunto veniva collocata un pietra massiccia che potesse impedirgli di lasciare la tomba.
Nel corso del 19° secolo, la tomba di Lilias è stata profanata e parti del suo corpo sono state vendute al mercato dell'antiquariato. Il suo cranio è stato inviato al St. Andrews University Museum. Tuttavia, nel 20° secolo, il suo cranio è scomparso e non è mai più stato recuperato.
I ricercatori hanno cercato di rintracciare il luogo di sepoltura originario di Lilias basandosi sulle descrizioni della zona del 19° secolo.
Durante le indagini, è stata ritrovata una grande lastra di pietra ricoperta di alghe, che corrispondeva alla descrizione del territorio e alle caratteristiche della sepoltura. L'archeologo Douglas Speirs, che ha esaminato e ripulito la tomba, ha confermato che la lastra non è un elemento naturale della spiaggia, ma è stata estratta e deliberatamente messa lì. La lastra presenta una piccola fossetta al centro che potrebbe far pensare ad un anello di ferro per la presa. Ma c'è ancora qualcosa di Lilias lì sotto? In attesa di un completo scavo archeologico che possa portare alla luce quello che resta di Lilias, gli archeologi concordano nell'affermare che questa tomba di essere è l'unica tomba nota di una strega nel suo genere in Scozia.




mercoledì 9 settembre 2015

239. Meg Shelton

In un grazioso sagrato a Woodplumpton, un villaggio non lontano da Preston, nel Lancashire, c'è una misteriosa tomba antica attorno a cui aleggiano molte storie oscure. La lapide è costituita semplicemente da un grande masso, in netto contrasto con le lapidi vittoriane ed edoardiane che lo circondano, che pare segnali la tomba di una strega.
Quando si parla di Lancashire e streghe nella stessa frase, la prima cosa che viene in mente è la tragica storia delle streghe di Pendle, uno dei più famosi casi di isterica caccia alle streghe del 17 ° secolo. Nel 1612, dieci persone, per lo più membri delle due famiglie in lotta che vivevano vicino a Pendle Hill, vennero giustiziate dopo essere state accusate di stregoneria e dopo aver marciato a lungo sulle colline del Lancashire per andare sotto processo al castello di Lancaster. La testimonianza di una bambina di nove anni, Jennet Device, parente degli imputati, contribuì a tramandare la storia delle streghe di Pendle.
Il periodo a cui risale la strana tomba di Woodplumpton non coincide col caso delle streghe di Pendle, ma risale a quasi un secolo più tardi, quando ormai gran parte dell'isteria  della caccia alle streghe era andata scemando,  anche se le credenze sulle streghe e sulla stregoneria erano ancora presenti.
La tomba in questione è occupata da Meg Shelton, morta nel 1705, come spiegato nella piccola targa messa a corredo della pietra.
E' impossibile sapere esattamente con certezza chi fosse Meg, ma si ritiene che provenisse dal villaggio di Singleton e che poi si stabilì in prossimità di Woodplumpton. Ci sono una serie di storie su di lei, la maggior parte delle quali la vedono rubare cibo o causare guai. In tutti i racconti, però,  Meg muore di una morte piuttosto macabra: schiacciata contro un muro da un barile. Si trattò di un incidente, di omicidio, o di una delle sue trame subdole andata storta?
Forse Meg praticava la magia nera, o forse usava le erbe per semplici rimedi  vecchio stile.  Forse era una criminale. O semplicemente era antipatica ad un membro influente della comunità locale che mise gli altri contro di lei. O forse era solo malata, soffriva di una forma di schizofrenia o di demenza, condizioni che possono portare i malati a comportarsi in modi che gli altri possono trovare spaventosi o strani.
C'è anche chi ipotizza che Meg  potesse essere l'amante di un signore locale e che il trattamento speciale riservatole da lui avrebbe potuto causare risentimento nei suoi confronti da parte dei vicini, che, come nel caso delle faide delle streghe di Pendle, l'avrebbero quindi accusata di stregoneria per screditarla.
Ma se Meg era una strega, perché fu sepolta in terra consacrata, così vicino a una chiesa?
Se le storie su Meg sono vere, la sua sepoltura è tutt'altro che usuale. Si dice che dopo la sua morte, scavò per uscire da sottoterra in più di un'occasione e fu per evitare ulteriori fughe che venne messa la grossa pietra sopra alla tomba. Il racconto di Meg che risorge dalla tomba scavando per uscire sembra abbastanza fantasiosa, anche se non è del tutto fuori questione che alcune persone possano aver tentato di riesumare il cadavere o di compiere azioni che potrebbero hanno alimentato le storie sulla fuga di Meg.
Nel corso degli anni, diverse tombe scavate in Europa hanno rivelato che i loro occupanti erano stati sepolti a faccia in giù. Questo genere di  sepoltura veniva utilizzata come  "atto di punizione", indice del fatto che le azioni di quei morti non erano state accettate dalla comunità. Tuttavia, Meg venne sepolta in terra consacrata. Forse, questa ragazza aveva amici o familiari abbastanza influenti nella comunità locale da far sì che, nonostante la natura irrispettosa della sua sepoltura, venisse comunque sepolta in terra sacra.
La tomba di Meg attira ancora oggi grande attenzione e molti abitanti del posto ricordano ancora le storie locali su di lei. Sulla pietra ci sono spesso dei fiori, forse perché le persone che una volta venivano bollate come streghe e talvolta uccise a causa di questo,  vengono invece viste oggi con simpatia, viste semplicemente come vittime dell'intolleranza religiosa o dell'incomprensione di problemi medici o come capri espiatori per le disgrazie occorse alle comunità. Ma a differenza di coloro che hanno accusato Meg di stregoneria e di coloro che le hanno dato una sepoltura dignitosa, il nome di Meg Shelton lo conosciamo ancora oggi.






giovedì 3 settembre 2015

238. Fino a prova contraria

E' il 26 Aprile del 1913. E' un sabato mattina. Alle 11:30, Mary Phagan pranza con un pò di pane e del cavolo bollito e saluta sua madre. Quel giorno si terrà il Confederate Memorial Day e lei è già vestita a festa: indossa un vestito color lavanda, un cappello con un nastro e un parasole. Lascia la sua casa spartana a Bellwood alle 11:45 e corre a prendere il tram per Atlanta. E' una ragazzina di 13 anni, Mary Phagan, e lavora in una fabbrica di matite ad Atlanta. Quel giorno, prima dei festeggiamenti, Mary vuole riscuotere il suo salario:  1 dollaro e 20 centesimi, guadagnati nell'unico giorno in cui aveva lavorato durante la settimana. Era rimasta senza lavoro per la maggior parte di quella settimana, perché il materiale necessario al reparto in cui lei lavorava tardava ad arrivare.
Verso mezzogiorno Mary entra in fabbrica e sale al secondo piano, dove si trova l'ufficio del direttore dello stabilimento, Leo Frank, un giovane di 29 anni. 
Leo Frank è ebreo. E' cresciuto nel nord, a Brooklyn, e ha  studiato alla Cornell University. Dopo un apprendistato in Germania, è approdato ad Atlanta, nella fabbrica di suo zio,  e ne è diventato il sovrintendente. Guadagna 120 dollari al mese, uno stipendio di tutto rispetto per il tempo, e si è trasferito con la moglie in un quartiere ebraico borghese. Frank è un uomo esile, del peso di nemmeno 57 chili, più o meno come Mary.
Pochi istanti dopo l'arrivo di Mary, alle 12:05, un'altra delle ragazze che lavorano nello stabilimento, la quattordicenne Monteen Stover, arriva a ritirare la sua paga.  Entrambe le ragazze vengono viste da Jim Conley, spazzino afro-americano della società, che se ne sta seduto nell'ombra dietro alla scala del primo piano, vicino all'ascensore e alla scaletta che porta in cantina. Stranamente, anche se è il suo giorno libero, Conley si trova lì, ma nessuna delle due ragazze l'ha notato. Quando Monteen entra nell'ufficio di Leo Frank,  Mary non è ancora uscita, ma Monteen non trova nessuno. L'ufficio di Frank è diviso in due parti, una esterna ed una  interna. Cercando il suo capo, Monteen vede che l'ufficio esterno è vuoto, così va nell'ufficio interno, ma trova vuoto anche quello. Monteen guarda lungo il corridoio verso le file di macchine della fabbrica, ma tutto è immerso in un silenzio immobile. Così,  decide di aspettare. Un'attesa di ben cinque minuti, secondo l'orologio dell'ufficio. Monteen non vede né sente nessuno. Quindi, se ne va per la stessa via da cui è venuta.
 (La tempistica esatta della visita di Mary Phagan è stata in séguito contestata, insistendo sul fatto che Monteen era arrivata prima di Mary. Frank stesso dichiarò il 28 aprile che  Mary era arrivata fra le 12:05 e le 12:10. Tuttavia, Monteen Stover non aveva trovato nessuno nell'ufficio nel periodo di tempo in cui Mary era lì e Frank disse alla polizia di non aver mai lasciato il suo ufficio dalle 12:00 alle 12:45.)
All'una, Leo Frank lascia la fabbrica per andare a pranzo a casa. Sua moglie e sua suocera, tutte agghindate,  sono in attesa di andare al teatro dell'opera di Atlanta, dove si esibirà la Metropolitan Opera di New York nella "Lucia di Lammermoor". Dopo aver mangiato, Frank torna alla fabbrica, mentre la gente di Atlanta si prepara a rendere omaggio ai suoi eroi nel  Confederate Memorial Day.
Quasi nessuno lo sa ancora, in quel momento, ma la vita di Mary è già finita da un'ora. Per lei non ci saranno mai più parate, o musica, o baci, o fiori, o amore. Mary Phagan non ha mai lasciato viva la National Pencil Company di Atlanta.
La mattina dopo, intorno alle 3:00, Newt Lee, guardiano notturno della fabbrica, scopre il cadavere di una ragazza nello scantinato.
E' stata picchiata, strangolata e forse violentata. Lee non riesce a raggiungere telefonicamente Leo Frank e chiama la polizia. In un primo momento, la polizia pensa che il corpo coperto di sporcizia sia quello di una giovane donna nera, ma un detective solleva una calza e si rende conto che la vittima è bianca. Un parente di un poliziotto che lavora nella fabbrica viene convocato sulla scena del delitto la domenica mattina presto per identificare il corpo. L'uomo riconosce la sua collega Mary Phagan.
Mary è stata strangolata con un cordone tirato così forte che è penetrato profondamente nel collo della ragazzina. Il corpo di Mary è stato scaricato davanti al forno in cui viene solitamente bruciata la spazzatura della fabbrica.
 A causa di una serie di circostanze insolite, i sospetti della polizia cadono inizialmente su Lee, che viene arrestato e interrogato, ma infine rilasciato. Lee dice che Frank lo ha mandato via per due ore quando è arrivato al lavoro nel pomeriggio di Sabato. Venerdì, il giorno prima dell'omicidio, Leo Frank dice al guardiano notturno di venire a lavorare il sabato pomeriggio alle quattro, perché lui vuole andar via intorno a quell'ora in modo da poter partecipare a una partita di baseball con il cognato, il signor Ursenbach. Quando Lee arriva, però, alle quattro, Frank è estremamente nervoso e insiste affinché l'uomo lasci la fabbrica per tornare alle sei. Quando Lee suggerisce che potrebbe semplicemente dormire sul posto per un paio d'ore, Frank gli ripete che deve andarsene.
Quando Lee torna, alle sei, Frank sembra ancora molto nervoso, tanto che fa un salto indietro quando nota che un ex dipendente di nome di Gantt è arrivato più o meno contemporaneamente a Lee. Frank sosterrà poi di essersi semplicemente spaventato, perché Gantt era un omone robusto e lui lo aveva licenziato non molto tempo prima. In realtà, pare che Gantt fosse molto vicino a Mary Phagan e Frank temeva che lui fosse venuto a cercarla.
Newt Lee aveva fatto il suo giro come al solito, quella notte, ma non era sceso nel seminterrato fino alle tre del mattino.
La scena del crimine era ricca di indizi. Fra le altre cose, c'erano due messaggi presumibilmente scritti da Mary durante l'aggressione e ritrovati nella segatura vicino al corpo. Solo successivamente venne dimostrato che non era stata Mary a scrivere quelle parole, che sembravano opera di qualcuno che a malapena sapeva leggere e scrivere. Il linguaggio usato, inoltre, era simile al dialetto afro-americano del sud. Il senso dei messaggi sgrammaticati era:

"Mamma, è stato quel negro che lavora qui sotto a fare questo. Sono andata a fare pipì e lui mi ha spinta giù in quel buco. Era un negro alto e magro che mi picchiava mentre giocava con me.
Lui ha detto che voleva amarmi e per questo è venuto a lavorare qui come guardiano notturno ma quel negro molto alto ha fatto tutto da solo."

Questo il testo, quasi incomprensibile, in lingua originale:

"Mam that negro hire down here did this i went to make water and he push me doun that hole a long tall negro black that hoo it was long sleam tall negro i wright while play with me.
he said he wood love me and land doun play like night witch did it but that long tall black negro did buy his slef."

Le misteriose "note della morte" furono soggette a diverse interpretazioni. Il termine "night witch" (strega della notte) venne interpretato come un riferimento ad uno spauracchio del folklore afro-americano, ma l'uomo nero che trovò il corpo, Newt Lee, ci ha visto subito un chiaro riferimento a se stesso, leggendo le parole come "night watch" (turno di notte). Quando allo spazzino della fabbrica, Jim Conley, fu poi chiesto di scrivere la parola "guardiano notturno", lui senza esitazione scrisse "night witch". Dopo un intenso interrogatorio, Conley ammise alla fine di aver scritto lui i messaggi, ma di averlo fatto per  ordine del sovrintendente Leo M. Frank.
Poco distante dal corpo, gli investigatori trovarono anche un fazzoletto insanguinato, una scarpa, alcuni fogli di carta e delle matite. Stranamente, il cappello e il parasole di Mary erano stati gettati nella tromba dell'ascensore. C'erano dei segni che indicavano che il corpo di Mary era stato trascinato nel seminterrato. I segni di trascinamento cominciavano dal vano dell'ascensore.
Entro il 1° maggio, la polizia sospettava per il reato ben cinque uomini diversi. Fra questi, per una serie di motivi, Leo Frank era il principale sospettato, anche se la maggior parte delle prove contro di lui erano circostanziali. L'interesse per il caso crebbe a dismisura, finendo su tutti i giornali, e nel giro di un mese la situazione cambiò radicalmente. Due sospetti (Arthur Mullinex e John Gantt) vennero liberati. Frank e Lee vennero arrestati per l'omicidio e il procuratore Leo Dorsey affrontò nel processo gli avvocati della difesa Luther Rosser e Ruben Arnold. Il processo ebbe inizio il 28 luglio 1913.
Frank affermò di trovarsi nel suo ufficio, al momento dell'omicidio, ma la testimonianza di Monteen Stover, che aveva visitato il suo ufficio alle 12:05 senza trovarlo, lo contraddiceva.
Emerse, oltretutto,  che Frank aveva fatto delle avances "irregolari" a diverse colleghe della Phagan.
Il 4 agosto 1913, la testimonianza di Jim Conley scosse visibilmente la giuria. Egli affermò di aver aiutato Frank a spostare il corpo inerte di Mary Phagan nel seminterrato e di aver scritto i messaggi dell'omicidio. La difesa cercò di smontare la storia dell'uomo, ma sebbene Conley ammettesse di aver in precedenza mentito alla polizia, i tentativi dell'avvocato Luther Rosser di mettere sotto accusa la sua testimonianza non riuscì, nonostante sette ore di interrogatorio.
Lo stesso Frank prese la parola, etichettando Jim Conley come un bugiardo, e diede la sua versione storia in toni calmi e miti. Ma non gli servì. Il giudice lo condannò a morte (per impiccagione) il 10 ottobre 1913.
A causa di vari intrallazzi legali, fra cui il rifiuto della richiesta di appello di Leo Frank per un nuovo processo da parte della Corte Suprema degli Stati Uniti, l'esecuzione venne rinviata diverse volte, finché il Governatore della Georgia, John Slaton, commutò la condanna di Frank in ergastolo, il 21 Giugno 1915, sulla base delle raccomandazioni del presidente della Corte e di ulteriori testimonianze. Frank, per sua sicurezza, venne trasferito nella prigione statale di Milledgeville.
La commutazione della pena di Frank, la notte prima che avrebbe dovuto essere impiccato, fece infuriare i georgiani, che decisero di farsi giustizia da soli. Fecero irruzione nella prigione, studiando tutti i particolari con precisione militare: tagliarono le linee telefoniche, bloccarono le guardie, ammanettarono il direttore e sorpresero Frank in pieno sonno. Lo spinsero rapidamente fuori e dopo aver raggiunto Marietta, città di Mary Phagan,  impiccarono Frank ad un albero e lo lasciarono lì a morire. Migliaia di persone sono accorse a guardare quel corpo appeso prima che qualcuno lo tirasse giù. Per decenni, le foto del linciaggio sono circolate per tutto il Sud.
Un centinaio di anni dopo la morte di Frank, sembra molto probabile che lui fosse innocente.
C'erano stati dei grossi dubbi fin dall'inizio e molti abitanti del posto avevano chiesto al governatore di perdonare Frank o commutare la sua pena.
Il giudice Leonard Roan, che curò il processo di Frank, scrisse che, anche se aveva respinto la richiesta di un nuovo processo, non poteva dire con assoluta certezza se Frank fosse colpevole o innocente.
Questi dubbi vennero confermati circa 70 anni dopo il processo. Nel 1983, Alonzo Mann - un ex operaio della National Pencil Company, rivelò di aver visto un uomo che portava il corpo di una ragazza la notte in cui la Phagan era stata uccisa e che quell'uomo era Jim Conley, la cui testimonianza era stata la principale prova della colpevolezza di Frank.
Molte delle prove fornite al processo puntavano a Conley. Aveva il movente (rapina) e l'opportunità: ubriaco e indebitato, era in agguato nel pomeriggio del delitto, quando la ragazza uscì dall'ufficio di Frank con la sua paga. 1 dollaro e 20 centesimi.
Storicamente, il caso Frank ha avuto conseguenze per tutto il secolo scorso, perché Leo Frank era ebreo e il suo è stato l'unico linciaggio di un ebreo americano. La morte di Frank fece sentire i suoi effetti sia nel Nord che nel Sud, sia nelle comunità ebraiche che in quelle non ebraiche.
Dopo linciaggio di Frank, circa la metà dei 3.000 ebrei della Georgia lasciarono lo stato.
Molti ebrei americani videro in Frank una vittima delle persecuzioni antisemite.
Due settimane dopo il linciaggio, nell'edizione del 2 settembre 1915 del Jeffersonian, Thomas E. Watson scrisse: "la voce del popolo è la voce di Dio", sfruttando la sensazionalità del controverso  processo. Nel 1914, quando Watson aveva iniziato a diffondere il suo messaggio anti-Frank, la circolazione del Jeffersonian aveva raggiunto le 25.000 copie. Dal 2 settembre 1915, il numero era salito a 87.000.
Poco tempo dopo il linciaggio di Leo Frank, 33 membri del gruppo chiamato "I Cavalieri di Mary Phagan" si riunirono su una montagna vicino ad Atlanta e formarono il nuovo Ku Klux Klan della Georgia. Nel frattempo, i membri indignati di una comunità ebraica si incontrarono per creare l'Anti-Defamation League, che aveva come scopo quello di combattere l'antisemitismo.
La vedova di Frank, Lucille, non si risposò. Lavorò al bancone dei guanti del negozio di J.P. Allen e morì il 23 Aprile 1957 per una malattia cardiaca. Nel suo testamento del 1954 aveva chiesto di essere cremata. Prima della sua morte, Lucille aveva chiesto ai membri della sua famiglia di spargere le sue ceneri in un parco di Atlanta, ma un'ordinanza locale lo proibì. Le sue ceneri vennero conservati per sette anni in un'impresa di pompe funebri del luogo fino a quando la sua famiglia le seppellì segretamente, dentro ad una scatola da scarpe, tra le lapidi dei suoi genitori nel cimitero di Oakland, ad Atlanta, a quanto pare preoccupata che un funerale avrebbe potuto provocare un'azione antisemita del locale Ku Klux Klan.
Mary Anne Phagan è sepolta nel cimitero di Marietta. Sulla sua lapide si legge:

"Dormi, bambina; dormi nella tua umile tomba ma se gli angeli sono buoni con te nei regni al di là del travagliato tramonto e delle stelle offuscate, ti faranno sapere che più di un cuore addolorato batte per te in Georgia e più di una lacrima, di occhi non abituati a piangere, ha pagato per te un tributo sacro nelle parole."

Leo Frank riposa nel cimitero di Mount Carmel, a Glendale, nella contea di Queens (New York). Nel 2003, in occasione del 90° anniversario dell'Anti-Defamation League, gli è stato  dedicato un memoriale, che si trova vicino all'ingresso principale del cimitero.
Nel 1986, finalmente, lo stato della Georgia perdonò Frank. Lo stato dichiarò che lo stava perdonando perché non era riuscito a proteggerlo dal linciaggio e perché non aveva mai perseguito i suoi assassini.